— ANPI Colle Val d'Elsa

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Pensieri

Il giornale locale “Il Corriere di Siena”, alla vigilia dell’anniversario dell’eccidio di Montemaggio, pubblica un articolo in cui si vorrebbe attribuire la responsabilità della fucilazione (in cui morirono 19 partigiani) a Vittorio Meoni, fuggito di fronte al plotone d’esecuzione e per questo colpevole di aver fatto innervosire i fascisti che – evidentemente – non avrebbero avuto altrimenti la benché minima intenzione di sparare. L’articolo è anonimo, e ci pare giusto: difficile avere il coraggio di sostenere opinioni e ricostruzioni tanto inverosimili.
Qui sopra, invece, trovate due esagerazioni: accostare la parola “giornale” a Corriere di Siena e la parola “articolo” in riferimento a quel pezzo di immondizia parafascista.
In mezzo a tutta questa mediocrità, ci rallegrano il cuore le numerose e spontanee reazioni di sdegno che tanti cittadini hanno manifestato. Segno che la nostra comunità non dimentica la propria storia, né accetta provocazioni in questo senso. Lo ribadiremo domenica su Montemaggio e ogni volta che ne avremo l’occasione.

ANPI, sez. Colle di Val d’Elsa

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31 luglio 1942, esecuzione sommaria di civili sloveni nei pressi di Dane. Quelli che stanno per sparare sono soldati italiani. Eppure, ogni 10 febbraio qualcuno ripropone questa foto parlando di «plotone d’esecuzione titino» e «vittime italiane». È successo pure in una puntata di «Porta a porta», il 13 febbraio 2012.

Pensiamo che, in molti casi, si è fatto del giorno del ricordo un momento di sfogo “assurdo e antistorico” (come scrivono i Wu Ming nell’introduzione al post che stiamo linkando) di pulsioni revisionistiche, nazionaliste, nostalgiche e, persino, dichiaratamente fasciste. Abbiamo trovato molto utile, esauriente e di semplice fruizione l’articolo che linkiamo con cui Lorenzo Filipaz, triestino e figlio di un esule istriano, cerca di spazzare il campo da omissioni e visioni pericolosamente stereotipate. Sono 24 risposte ad altrettante domande sull’esodo istriano e sull’”ideologia” del giorno del ricordo.

Buona lettura

#Foibe o #Esodo? «Frequently Asked Questions» per il #GiornodelRicordo

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L’ANPI di Colle di Val d’Elsa esprime il più profondo dolore per la strage avvenuta ieri a Parigi nella sede del settimanale Charlie Hebdo.
Lontano da ogni facile e pericoloso riferimento allo scontro di civiltà, immediatamente ripreso dai politici più irresponsabili, riteniamo che si tratti, piuttosto, dello scontro tra la civiltà e la barbarie, ovunque si annidi.
Colpire persone che, per il loro mestiere, esprimono il più alto senso della libertà di espressione, e dunque della libertà in generale, significa colpire ciascuno di noi, nel proprio lavoro e nella propria vita quotidiana.
Occorre resistere alla barbarie, sostenendo ancora di più la libera informazione, la libertà di pensiero e la democrazia.

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di Christian Raimo, pubblicato sul sito di “Internazionale” il 29.11.2014

Insegno in un liceo a Roma, e alle volte, quando sono a scuola, nelle prime ore che magari passo in una classe nuova all’inizio dell’anno, svolgo una lezione come una specie di a parte: per presentarmi un minimo parlo del mio metodo d’insegnamento, e tra le altre cose banali che dico, ce n’è però una che purtroppo è e soprattutto risulta meno ovvia. Dichiaro di essere un professore antifascista.

Lo sono convintamente, sottolineo, per scelta personale, ma anche se non lo fossi di mia sponte, lo dovrei essere, facendo un mestiere come il mio, l’insegnante e per di più di filosofia, storia e educazione civica, per cui la mia è proprio una fedeltà al patto costituzionale, che è ciò che fa sì che la nostra comunità si possa dire tale, che mi obbliga per certi versi a essere antifascista, anche se non ne fossi profondamente convinto, come poi invece sono.

Spiego poi subito anche, a scanso di equivoci facili, che essere antifascisti non vuol dire essere contro un determinato periodo storico – quest’affermazione, dico, chiaramente non avrebbe senso: sarebbe come dire “Sono contro la guerra dei trent’anni”, “Sono contro l’idealismo tedesco”.

Cosa vuol dire allora, mi possono chiedere i miei studenti, essere oggi nel 2014 un antifascista? Molte cose, alcune assai complesse, ma alcune semplici anche per chi non ne sa nulla di storia: il rispetto degli altri come persone di qualunque etnia o cultura, la tutela delle libertà fondamentali, la condanna della violenza fisica contro i deboli, il contrasto con tutto ciò che incoraggi le pratiche opposte – oppressione, illiberalismo, sopraffazione, antidemocrazia, razzismo…

Antifascismo è una parola importante, provo a ragionare, perché non è un valore astratto, ma è calata in una realtà storica, e noi facciamo parte di questa realtà; non si tratta, ci tengo a precisare, di una generica bontà, di gentilezza, e nemmeno di tolleranza, ma è un termine che ha un senso per il presente, un concetto pieno, rotondo, che esiste da più di un secolo e che indica una certa idea di mondo, in antitesi a tutte quelle idee che invece ritengono che questi, della tutela della libertà, della difesa delle minoranze, o del senso di giustizia contro gli oppressori, non siano dei valori condivisi. Se c’è il fascismo – e c’è il fascismo – combattere contro questo vuol dire essere antifascisti, nonostante non ci sia più un duce che si affacci sui balconi o mandi al confino i dissidenti.

Queste semplici note mi sono venute in mente ieri, ancora prima di vedere le immagini infami di quelli di Casapound che manifestavano davanti a delle scuole a Roma contro gli studenti rom. Ossia che manifestavano contro dei ragazzini. Mi sono venute in mente, leggendo la bacheca su Facebook di un mio ex studente, un tipo ormai laureato, che ogni tanto condivide notizie su quelli che chiama zingari.

L’altro giorno scriveva una roba del tipo: “Continuate ad aiutarli ai semafori, pensando che sia gente povera, bisognosa, che non può permettersi nemmeno un panino. Queste persone vanno emarginate socialmente ma soprattutto dovremmo trattarli tutti e ribadisco tutti, come fossero il capolinea dell’umanità. Queste sono le uniche soluzioni per debellare questo cancro nella nostra società, trattarli per quello che sono. Feccia”. Sotto, ve lo immaginate, tanti like e condivisioni.

Potevo lasciar perdere, come forse colpevolmente faccio tante altre volte, e invece mi sono messo a discutere con ognuno dei commentatori, i genitori di questo mio ex studente per esempio, o un’altra donna, un’insegnante che buttava lì giudizi del tipo “Bisognerebbe bruciarli, se non si dovessero spendere i soldi per la benzina”.

Faticosamente, ho replicato a uno per uno, provando a inchiodarli alle loro stesse parole: allora mi scusi se io le dessi una tanica di benzina gratis e le fornissi la possibilità di bruciare i container con le famiglie dei rom dentro, lei appiccherebbe il fuoco? A un certo punto mi sono sentito un povero alieno, uno che brontola mentre tutti si sentono di stare nel pieno una festa – la sensazione di un pogrom, seppure solo immaginato, dev’essere questa – che finalmente si riconoscono in un’idea seppure folle di comunità: gli odiatori di rom.

Tutto questo purtroppo non è un epifenomeno. La manifestazione di Casapound ieri, l’ostentazione con cui i neofascisti si stanno conquistando alla luce del sole uno spazio politico è un fatto pericoloso, come è un’evidenza terribile e fetida che stiano lucrando questo consenso sulla pelle dei rom e dei sinti.

Le ragioni di questa degenerazione hanno a che fare certo con la crisi economica, con la parallela crisi della politica come l’abbiamo immaginata nel novecento (i partiti, i sindacati, i tanto ormai odiati corpi intermedi…), ma sono anche lo specchio di una débâcle culturale più verticale, che è quella che ha pensato che l’antifascismo fosse una reliquia del secolo scorso.

Una decina di anni fa uscì per Einaudi un librettino di Sergio Luzzatto che s’intitolava La crisi dell’antifascismo. Si poteva per superficialità scambiarlo per il pamphlet di uno storico che focalizza un cambio di paradigma negli studi di settore. Non era quello. La crisi dell’antifascismo, mostrava bene Luzzatto, è cominciata innanzitutto nella mancata trasmissione tra generazioni. Le cosiddette agenzie educative, la scuola, la famiglia, e mettiamoci i media, o addirittura le parrocchie, sempre più raramente oggi lo inseriscono tra i loro valori preliminari, la condizione stessa di un possibile discorso pubblico. E se sempre più difficilmente pensano che sia indispensabile come collante comunitario, figuriamoci come orizzonte politico.

Per questo, nello sconforto di ieri, pensavo che mentre i cortei contro i rom continueranno e si moltiplicheranno, non sarebbe male riabilitare uno strumento politico semplice, ma sempre efficace, come quello dell’antifascismo, rivendicandolo, riconoscendo la sua forza, in opposizione a tutte le bruttissime comunità del risentimento che vedremo formarsi nel nostro futuro davvero troppo prossimo.

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Su Montemaggio, lo scorso giugno, qualcuno ricordò che essere cittadini vuol dire essere “responsabili in solido”. Si sta da una parte o dall’altra: le terze vie non esistono, l’indifferenza vuol dire schierarsi per lo stato di cose, ed essere complici del suo perpetuarsi.

A Kobane, in queste ore, la popolazione curda, le donne e gli uomini armati delle milizie popolari stanno resistendo, strada per strada, all’attacco genocida delle truppe dello Stato Islamico. Sono soli, stretti nella morsa del fondamentalismo, da un lato, e di un altrettanto criminale teatrino politico che si gioca sullo scacchiere internazionale: gli USA intervengono blandamente, la Turchia di Erdogan, che ufficialmente condanna l’ISIS, non vede l’ora che Kobane – avamposto di popoli liberi e autonomi: una vera minaccia per lo statu quo – venga devastata e intanto ammazza i curdi che, ad Ankara, chiedono aiuto per i loro fratelli. Salvo qualche rara eccezione, la politica europea appare una volta di più composta da una coorte di nani, incapaci di capire, interpretare, muoversi, senza il permesso del padrone; la politica italiana, se possibile, fa una figura anche peggiore, quasi nessuno escluso.

Ma la “responsabilità in solido” tocca anche noi: militanti, attivisti, cittadini. E’ nostro dovere sostenere, con ogni mezzo possibile, le donne e gli uomini che combattono per la libertà a Kobane e altrove. Primo fra tutti: informarsi, informare; diradare la cortina fumogena che è calata sul conflitto e andare oltre la versione preconfezionata.

Dimenticare Kobane significa, in qualche modo, essere complici del massacro.

Link utili:

Rete Kurdistan Italia http://www.retekurdistan.it/

YPG Media Center (twitter) https://twitter.com/DefenseUnits

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Riceviamo, pubblichiamo e condividiamo il comunicato firmato dal Presidente Provinciale dell’A.N.P.I. di Siena Vittorio Meoni, pubblicato in seguito del gravissimo fatto accaduto alla  Caserma “Bandini” di Siena dove una trentina di Parà in divisa hanno intonato un coro di chiaro stampo fascista. Ci permettiamo, inoltre, di aggiungere una breve nota: come Sezione locale dell’A.N.P.I. non possiamo certo dirci sorpresi per l’accaduto visto che la Folgore da sempre viene considerata vicina a certe indegne posizioni politiche a noi avverse e da noi combattute e contrastate. Siamo allo stesso tempo preoccupati e indignati per il fatto che i componenti di un esercito che dovrebbe difendere la Costituzione nata dalla Resistenza si ritrovino invece al centro della cronaca locale e nazionale a causa di queste nostalgie vergognose. Infine, cogliamo l’occasione per riflettere e magari far riflettere le autorità locali sul senso del picchetto d’onore (onore?) della Folgore che il 28 di marzo di ogni anno è presente a Montemaggio in occasione delle celebrazioni ufficiali a memoria dell’eccidio. Troviamo a questo punto fuori luogo e preoccupante la presenza di tale picchetto e cercheremo di leggere a fondo i protocolli della celebrazione per far sì che in futuro i parà della Folgore possano essere esonerati dal salire a Montemaggio e prendere parte a un momento così importante per la nostra comunità.

L’A.N.P.I. di Siena esprime grande preoccupazione e sdegno per un fatto gravissimo pubblicato su YOU TUBE e ripreso da alcuni giornali e dalle TV locali. Si tratta di un coro che canta “Bandiere rosse per pulirsi il culo” di chiaro stampo fascista di mussoliniana memoria, che viene intonato da una trentina di Parà in divisa nel piazzale interno della Caserma “Bandini” di Siena, sede della Folgore. Il testo cantato, con pause con tanto di saluto fascista, come emerge dal filmato su YOU TUBE è il seguente: ” bandiere rosse per pulirsi il culo”; “botte in quantità”; “bombe a mano e carezze di pugnal” e si conclude con il saluto “a noi”. Un fatto dunque estremamente grave, specie mentre tutte le Istituzioni e tanti cittadini sono impegnati a celebrare il 70° anniversario della Resistenza e della Liberazione dei nostri territori e del paese dal nazifascismo. Ma ancora più grave perchè messo in atto da militari in divisa all’interno di una caserma dove peraltro, il 13 marzo 1944 furono fucilati dai fascisti quattro giovani partigiani che ogni anno vengono ricordati con una Manifestazione che vede impegnata l’A.N.P.I., le pubbliche Istituzioni locali ed il Comando stesso della Caserma, con tanto di picchetto d’onore. Si ha notizia, infatti, che le autorità militari (Folgore ed Esercito), preoccupate per l’accaduto, hanno aperto un’inchiesta interna. L’A.N.P.I. esprime ferma condanna per l’accaduto, chiede una maggiore vigilanza perchè fatti del genere non abbiano a ripetersi, ed intanto chiede al Comando di Brigata, provvedimenti disciplinari esemplari per quanti vi hanno partecipato. L’A.N.P.I. chiede, inoltre, al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Ministro degli Interni ed al Ministro della Difesa una più concreta vigilanza perchè ogni tentativo di revanscismo di tipo fascista e nazista venga stroncato nel nascere, specie quando si manifesta nelle forze armate.

Il Presidente Prov.le A.N.P.I. SIENA

Ecco i “nostri bravi ragazzi” in tutto il loro splendore

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Signor Presidente,

negli ultimi tempi la nostra associazione è stata impegnata in numerose iniziative. Commemoriamo quest’anno il 70° anniversario dell’eccidio fascista di Montemaggio, in provincia di Siena, e la liberazione della nostra città, Colle Val d’Elsa. Appena qualche giorno fa, nel corso di una bella iniziativa, abbiamo tributato un doveroso riconoscimento ai partigiani colligiani che hanno combattuto in Italia e all’estero. E’ per questo che scriviamo in ritardo su una questione che è rimbalzata sui media nei giorni scorsi. 

Abbiamo appreso infatti delle parole di encomio da Lei rivolte a Giorgio Almirante, in occasione di un’iniziativa organizzata in suo onore. Nel messaggio Lei definiva Giorgio Almirante “espressione di una generazione di leader che hanno saputo confrontarsi mantenendo un reciproco rispetto a dimostrazione di un superiore senso dello Stato”.

Ci domandiamo, tuttavia, quando questo “superiore senso dello Stato”, di cui Lei parla, si sia palesato. 

Forse nel 1938, quando firmò il Manifesto della Razza e divenne collaboratore dell’infame rivista “La difesa della Razza”? O allo scoccare dell’8 settembre, quando scelse di schierarsi con la Repubblica sociale? O quando forse ne divenne capo di gabinetto al Ministero della Cultura Popolare? O ancora quando, da tenente di brigata nera, coordinò azioni antipartigiane in Piemonte e in Toscana? Magari proprio il 17 maggio 1944, data in cui nel grossetano fu pubblicato un manifesto a sua firma che diceva:

“Alle ore 24 del 25 Maggio scade il termine stabilito per la presentazione ai posti militari e di Polizia Italiani e Tedeschi, degli sbandati ed appartenenti a bande. [...] Tutti coloro che non si saranno presentati saranno considerati fuori legge e passati per le armi mediante fucilazione nella schiena. Vi preghiamo curare immediatamente affinché testo venga affisso in tutti i Comuni vostra Provincia.” 

O forse si riferiva agli anni del dopoguerra. Diverse, anche in questo caso le testimonianze del suo “superiore senso dello Stato”: c’è, per esempio, l’Almirante in posa sorridente con i bastonatori fascisti all’università La Sapienza; l’Almirante fiancheggiatore di esponenti del terrorismo nero; l’Almirante sostenitore delle dittature neofasciste in Europa e in America latina; l’Almirante che incitava i giovani neofascisti “allo scontro frontale con i comunisti” e alla guerra civile perché tutti i mezzi “sono giustificati per combattere i comunisti”. Ci fermiamo qui, l’elenco sarebbe lungo.

Quest’anno, come Le dicevamo all’inizio della lettera, ricordiamo e commemoriamo molte cose. Il 20 luglio saremo sulle montagne delle Carline, per celebrare i partigiani della XXIII Brigata Garibaldi “Guido Boscaglia” che operò anche nelle zone in cui il manifesto firmato da Almirante fu affisso. Forse, nell’occasione, ci soffermeremo anche a riflettere sulle parole di encomio che il Presidente della Repubblica nata dalla Resistenza ha rivolto ad un collaborazionista del regime nazifascista (“un servo dei nazisti”, come sentenziò con perfetta sintesi l’Unità quarant’anni fa, quando il manifesto venne ritrovato) ed espressione, nel dopoguerra, delle peggiori pulsioni neofasciste. Al momento, a dire il vero, prevalgono vergogna e preoccupazione.

Direttivo ANPI
sez. Colle di Val d’Elsa

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MONTEMAGGIO

28 marzo 1944 – 28 marzo 2014

IN MEMORIA

*

Angiolo Bartalini
Piero Bartalini
Emilio Berrettini
Enzo Busini
Giovanni Cappelletti
Virgilio Ciuffi
Franco Corsinovi
Dino Furiesi
Giovanni Galli
Aladino Giannini
Ezio Grassini
Elio Lapini
Livio Levanti
Livio Livini
Fulco Martinucci
Ennio Nencini
Orvino Orlandini
Luigi Vannetti
Onelio Volpini

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Domenica 30 marzo, a partire dalle 15, si commemoreranno
i 19 partigiani trucidati dai fascisti su Montemaggio.

Qui, potete scaricare il programma dell’iniziativa a cui, come sempre,
vi invitiamo calorosamente a prendere parte.

Il Settantesimo dell’eccidio porterà anche altri momenti di riflessione, incontro, celebrazione. 
Ve ne parleremo a breve, sperando di trovarvi in tanti sul fronte della Memoria e della rivendicazione dei valori della Resistenza.

A domenica.

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Seguendo questo link potete leggere un ricordo di Nelson Rolihlahla Mandela (18.7.1918-6.12.2013) scritto da Gennaro Carotenuto

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“I miei figli dicono di sentirsi come dovevano sentirsi le famiglie ebree in Germania durante il regime di Hitler”

Silvio Berlusconi, anni 77, Roma, 2014

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“Camminavamo senza sapere dove stavamo andando: vidi del fuoco che ardeva in una grande buca dove buttavano bambini piccoli che erano stati strappati alle loro madri.
Li gettavano tra le fiamme vivi. Poi le SS rompevano con il calcio dei fucili i crani dei cadaveri e li facevano a pezzi come polli.
Quando vidi le fiamme pensai di essere morta, di essere finita all’inferno, che quelli fossero fantasmi.
Ero piccola, confusa, ma non piansi”

Vera Kriegel, anni 6, Auschwitz, 1944

 

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